Sarò stato presidente

Caro ghostwriter Robialquadrato,

io non ho capito perché ti fai chiamare così, però ho pensato che il quadrato è sempre meglio della radice, perché uno si ingrandisce a dismisura e l’altra va a finire in niente. Almeno penso.

Mi aiuti a diventare presidente di Qualcosa? Cioè io presidente non lo diventerò mai, però se tu mi scrivi che ero presidente in un certo senso sarà vero, se dici che le parole fanno i mondi.

Io facevo palazzi, come Donald Trump, solo che ero muratore. Ma nella vita ho sempre sognato di essere qualcuno e alla fine essere presidente di Qualcosa è sempre una bella soddisfazione.

Devi scrivere che quando ero presidente di Qualcosa per prima cosa ho fatto innalzare muri di cioccolato e tanti gabinetti chimici lungo i confini, perché per entrare a Qualcosa uno il muro doveva mangiarselo e gli effetti erano immediati.

Poi, siccome Qualcosa non è tutto, come dicono le parole non può contenere tutto. Giusto? Allora ho sospeso il visto per i quarantenni, i bambini con i capelli ricci e i cani con pedigree. E le bisnonne, anche, di sangue indiano.

Però, al suono della campanella, tutti i giorni, anche loro potevano entrare a Qualcosa. Lì tutti facevano qualcosa, non proprio tutto, però producevano qualcosa e se qualcosa mancava costruivamo gabbie di cioccolato e ci mettevamo dentro i quarantenni e i cani eccetera per rimediare. Così sembrava a un certo punto che qualcosa equivalesse a tutto. E fuori dalle gabbie c’erano i wc.

Quando ero presidente di Qualcosa ho fatto tante cose, ho ridato la vista e la parola, che al giorno d’oggi non sono poco. E tu non puoi dirmi che esagero, perché non solo la mia presidenza è già passata, ma non c’è mai stata. Camminavo sulle acque ghiacciate senza mai cadere e viaggiavo sempre.

Nei miei viaggi vedevo muraglie e gabbie che non si potevano mangiare e io ti posso garantire che ho fatto il muratore per una vita, ma di queste cose non ne ho mai costruite. Qualche inferriata nelle case dei ricchi, forse.

E allora, come presidente di Qualcosa, dicevo la mia ai governi degli altri Paesi. Giusto, no? In quanto presidente potevo farmi sentire e non c’era nessun capomastro che potesse zittirmi. Comperate cioccolato e wc, dicevo, e meno ferro e mattoni. Che per ogni muro di mattoni ci deve essere in mezzo una finestra bella larga, dove si vede una spianata, dove gli abeti corrono verso il fondo per poi prendere il volo quando il terreno si impenna.

Mi guardavano male. E io ci rimanevo male. Forse è per questo che non ho fatto il presidente, per non rimanerci male. Però, dato che tu sei un ghostwriter, anch’io ho fatto il presidente, mettilo nero su bianco. E a un certo punto, quando le ambasciate non potevano più far nulla, io interrompevo il flusso di cioccolato da Qualcosa a tutto il resto del mondo. E allora erano loro a rimanerci male, perché le tavolette di laterizio svizzero al 99% non hanno sapore.

Se vuoi vengo a casa tua e ti costruisco una gabbia di cioccolato, così puoi scrivere con calma le mie memorie di presidente. In quanto al wc, penso che non ti manchi.

Questa email non è ancora arrivata, ma sono fiducioso.  

 

il pescatore di brodo

Va bene, ci credo. Converrai che in pochissimi sarebbero disposti a fare altrettanto. Pescare un brodo è un po’ come camminare sulle acque, non so se mi spiego.

Quindi tu vuoi che io scriva per te la tecnica della pesca di brodo, che sia scientifica e credibile, in modo che nessuno, né ora né mai, abbia più modo di ridere di te.

Riassumerò in poche righe quello che hai fatto il trenta gennaio, di sera, a casa tua. Perché tu per pescare non ti sei mosso da casa, giusto?

Mi hai pregato di partire da una premessa. Il brodo di tua moglie è disgustoso. Sa di muffe e di calzini usati, e anche un po’ di urina. Tua moglie però è convinta che il suo brodo sia buonissimo e non avevi modo di dimostrarle il contrario. Anche se ogni giorno, verso sera, uscivi sul pianerottolo e sentivi quel profumino che veniva dall’appartamento di sotto, dove abita una cuoca.

Quella sera del trenta gennaio, hai aspettato che tua moglie andasse a letto. Hai guardato alla tv le previsioni del tempo, poi hai preso dallo sgabuzzino la tua canna da pesca e in fondo alla lenza hai legato un fisher a gancio, di quelli che si infilano nei muri. Ti sei affacciato alla finestra della cucina, coperto con berretto e piumino, proprio come se fossi sulla riva di un fiume, poi hai calato il filo. Non per pazzia, ma perché sul davanzale della finestra di sotto c’era il tegamino della cuoca, che conteneva l’avanzo del brodo. L’hai scoperchiato, agganciando il coperchio con l’uncino, poi hai immerso il fisher nel tegamino. Hai lasciato la finestra socchiusa e ti sei seduto sulla sedia, là dove ogni sera sei costretto a ingoiare un veleno. Hai caricato la sveglia per le quattro. E lei puntuale ti ha strappato dai sogni con un suono tipo bic boc, perché dove c’erano i martelletti avevi infilato del cartone per non fare rumore. La stanza era freddissima, la canna ti aspettava. hai spalancato la finestra, hai dato un piccolo strattone che ti ha fatto felice. Il brodo aveva abboccato. Hai agito sul mulinello, piano piano. Il brodo, dopo un attimo di resistenza, ha lasciato il tegame. Ecco, così, senza indecisioni, ma anche senza foga. E in breve il brodo è apparso ai tuoi occhi stanchi, congelato da diciannove gradi sotto zero. Hai ringraziato mentalmente la signorina delle previsioni e hai messo il brodo in frigo.

Quella stessa sera ti sei messo ai fornelli prima che tua moglie tornasse dal rosario.

“Cos’è questo odore?” ha detto, ma nella sua voce c’era incredulità e anche un pizzico di invidia. E tu le hai mostrato il brodo che bolliva. “Ho pensato di darti una mano.”

Il sospetto che tradivano i suoi occhi! Poi ti ha detto che doveva uscire a mangiare la pizza con le amiche; si aspettava che tu facessi la faccia dispiaciuta. E tu hai fatto una faccia dispiaciuta, come meglio ti veniva. Hai aspettato che uscisse di casa, poi hai buttato a cuocere una manciata di lumachine. Cucchiaio dopo cucchiaio, il brodo ha cancellato i ricordi dei calzini usati e poi tutti gli altri, anche quelli più tristi. Ormai non ti importava più nulla di niente, nemmeno di morire.