Il gatto del misfatto

Buonasera, Robialquadrato, buonasera,

sotto questa luna blu stiamo tutti col naso all’insù. Oppure: il cuore come un ananas fai a fette come se fossero tante sottilette.

Questo per introdurmi. Se permetti mi presento. Sono cantautore, cantante, cantattore, musicista, compositore, musicologo, drammautore, composicista, recitamusico. Incido dischi, canto ai matrimoni, faccio tour dappertutto, dal Corcovado a Helsinki. Creo versi a spron battuto, scrivo note a occhi chiusi, musica e parole per me non hanno segreti. Almeno così credevo fino a oggi, quando la figlia di una cara amica della zia del mio vicino di ombrellone, persona molto nota e facoltosa, mi ha chiesto di scrivere una breve composizione in morte del suo gatto.

È stato un terribile incidente. Uribe – questo il nome del defunto – stava rincorrendo una donnola, quando è stato investito dalla Ferrari del fidanzato di sua sorella, che stava tornando da una scampagnata in montagna, con un sacchetto di funghi che poi sono risultati velenosi.

Questo ragazzo era veramente dispiaciuto e per sdebitarsi ha lasciato i funghi al cuoco di questa ragazza, la padrona di Uribe, intendo, ma capisci bene che un cesto di funghi, velenosi oltretutto, non possono che aggravare il dolore.

Allora la ragazza mi ha chiesto di accompagnare con la chitarra un testo che dovrò scrivere e che leggerà l’investitore, al cospetto del feretro, un testo che nella parte di prefazione rievochi con linguaggio epico l’incidente, e poi nel contenuto magnifichi le virtù dell’animale scomparso.

Ora, caro collega, ho questo conflitto di interessi. Io non posso scrivere un testo in memoria di Uribe, perché sono felice, maledettamente felice, è uno dei giorni più belli della mia vita, Uribe è morto e io sono rinato.

A luglio, quando ero al mare, si presenta questa ragazza, era venuta a Forte dei Marmi apposta da Santo Stefano al Mare, solo per salutare la zia di questo mio vicino di ombrellone, che però aveva avuto un grosso problema dopo pranzo, un’improvvisa reazione ai crostacei che l’aveva portata dritta al pronto soccorso. Mente il mio vicino raccontava la sventura alla ragazza, che continuava a esclamare mi dispiace oh come mi dispiace, il gatto che teneva in braccio, Uribe, si è tuffato sulla sabbia, si è guardato intorno, poi con noncuranza ha dato una zampata allo spartito che stavo scrivendo, lacerando le prime due battute del mio valzer in sol maggiore Sulle cime dei monti castani. L’ho cacciato con la mano, una reazione naturale, mi capisci, allora la ragazza ci è rimasta male e io mi sono scusato più volte, finché non le è tornato il sorriso.

Poi è arrivata la zia, ancora pallida, che si era fermata ombrellone dopo ombrellone a raccontare quanto era stata vicina alla morte. Arriva da noi e ricomincia con il massaggio cardiaco, il defibrillatore, l’estrema unzione e tutti ascoltavamo fintamente atterriti, perché conoscevamo bene la propensione della zia a drammatizzare le sue vicende. Io e il mio vicino ci scambiavamo qualche sguardo divertito e intanto, cosa fa Uribe? Svuota la mia Sacca dell’Artista. Conteneva il mio ultimo lavoro, che dovevo consegnare entro due settimane alla casa discografica. Risultato, contratto saltato, penale da pagare. Le mie composizioni se ne erano volate via e il gatto si era divertito a rincorrerle e a farle a pezzi con le unghie e con i denti.

Ora, più che un’invettiva non riuscirei a scrivere. La ragazza non mi ha mai chiesto scusa, anzi quando si è accorta del misfatto è scoppiata a ridere. E ho pensato proprio a come aveva riso, quando ho saputo dell’incidente e mi sono detto: ridi, ridi, adesso.

La ragazza mi pagherà bene, penso che sia anche per sdebitarsi un po’ dei danni che ha fatto il suo gatto. Forse un giorno lo perdonerò, ma credimi, ora non ci riesco e per questo ti prego di scrivere al posto mio. Ti basti sapere che era un felino comune, europeo, tutto bianco eccetto che un cerchio nero intorno all’occhio. Aveva quattro anni, il fiore dell’età, dicono. La Ferrari se ti può interessare era gialla, correva sotto un viale di cipressi ed era molto più giovane del gatto, era appena stata ritirata dalla concessionaria.

Con queste note ti saluto e ti ringrazio. Dimmi se vuoi il bonifico o qualche altra forma di pagamento. Vado a finire una mazurka, l’ho intitolata Uribe perché mi ricorda il gatto del misfatto.

Anche se non lo sai, tu desideri davvero che scriva qualcosa di bello per Uribe.

Il bus per la Torrazza

Tu che sei sempre lì, attaccato al pc, sai dirmi cosa è successo al 12? Quello che va alla Torrazza, che fa via Piero Manzoni e via Ernesto Lambri.

C’è un sacco di gente che aspetta. Magari trovi qualche notizia sul 12. Che il conducente è morto. Dovrebbe passare un altro 12 per la Torrazza. Uno ogni quarto d’ora. Quindi la strada forse è bloccata, forse c’è un incidente o l’asfalto ha ceduto.

Rispondimi, rispondi pure, anche ora, che uno scrittore comunque li guarda, i notiziari, se c’è un bus capovolto sulla strada l’avrai pure visto, sul pc.

Che poi il 12 passa sotto la targa di Manzoni, che è un artista che cagava nelle lattine. Per il modo in cui piscio anch’io sono un artista. Sto andando a pisciare sulla Torrazza, solo che se il 12 tarda mi sa che me la faccio addosso. Per fare certe cose bisogna prima bere, solo che bevendo poi scappa.

Invece Ernesto Lambri non era nessuno, ma proprio nessuno, solo che la giunta ha voluto intitolare una via a uno che non era nessuno perché secondo loro non stava mica scritto da qualche parte che le vie devono essere intitolate a uno famoso. Mi sembra giusto e anche doveroso pensare a chi non è nessuno.

Arriva un bus.

Peccato. Era il 14. Sarebbe il colmo prendere il 12 e poi pisciarci sopra, dopo tanto impegno. È tutto programmato, prendi il 12, vai alla Torrazza, acquisti il biglietto, ti fai i gradini fin su, oltre cento metri d’altezza. Infili l’uccello in una feritoia, pisci sulla piazza, poi fai gli ultimi gradini e ti trovi nella zona panoramica, piccolissima, ci staranno otto nove persone.

Qui alla pensilina la folla aumenta, per lo più sono pazienti, qualcuno dice parolacce. Uno vorrebbe che gli autisti del 12 venissero licenziati. Uno vuole che il sindaco  si dimetta. Uno dice che il capo del governo è un emerito stronzo, perché bastava fare un decreto e farlo passare con la fiducia, per permettere al 12 di arrivare sempre e comunque, cambiando itinerario.

Ma cambiare itinerario sconvolge gli schemi, è una scelta che fa paura. Eppure io oggi sto cambiando itinerario. Io non ho mai preso il 12, sempre il 14, che andava al parco. Però al parco vedi le cose da terra, sulla Torrazza vedi le cose che vedresti da terra ma più chiare e definitive.

La Torrazza ha di bello che nella piccola area panoramica non ci sono protezioni, così uno può godersi la città, senza il filtro delle grate e delle reti. Volendo uno può salire a cavallo della guglia, non è fantastico?

Ma non trovi notizie sul 12? Va be’ che le guerre hanno la priorità, però mi sembra un affronto che non si parli del 12. Astronavi che impediscono l’accesso? Guardato nelle pagine locali?

Il cielo è blu, sappilo. E così sono blu le finestre degli uffici di fronte, un palazzo di una ventina di metri. Occhi blu, personcine che alitano sui vetri, guardando noi, ammassati in attesa del 12, una folla stanca. Agguerrita, ma anche i vinti fanno le guerre e conoscono già la fine.

Una folla rassegnata che ha la testa girata là, in direzione della curva della via, dove di solito compare una radiatore giallo e poi in alto, dietro il vetro sporco, la scritta luminosa: 12-Torrazza.

Là in alto, sopra la città, la vita sarà sottile come l’aria, la gente un ricordo. I rumori non ci saranno quasi. Il cuore veloce, il respiro rotto, quelli i veri rumori. E chiudendo gli occhi sembrerà già di volare.

Fai la scelta giusta, torna a prendere il 14.