L’intersvista: Fabio Toninelli e la maledizione della luna piena

La rivista “Fishing fitness & lifting” mi ha commissionato un articolo sui pescatori palestrati con le labbra rifatte, che frequentano per lo più la palestra Tapis roulant di Rue de Venice. Per una deprecabile svista ho telefonato a Tapirulan.

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Dico: “Vorrei parlare con qualcuno con le labbra rifatte.” Dall’altra parte del filo mi dicono: “Ho delle belle labbra, ma non sono rifatte. Ho anche una bella mascella e somiglio a Kabir Bedi, ma con i capelli rossi. E questa comunque non è una palestra. Senza considerare che io il pesce non lo pesco mai, lo mangio solamente e lo prediligo fritto. Infine mi chiamo Fabio Toninelli, ma tutti mi chiamano French.”

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Dato che i miei collaboratori mi comunicano in tempo reale che la segreteria di Tapis roulant (la palestra) ammonisce che il numero è errato (?) mi arrendo e spiego allo sconosciuto, almeno per me, che devo scrivere un articolo al più presto e che quindi in qualche modo dobbiamo parlare di Tapirulan, qualsiasi cosa sia. Toninelli mi suggerisce di contattare il suo ghostwriter e butta giù.

Solo allora mi accorgo che a un ghostwriter, o scrittore fantasma, per il fatto che è un fantasma non è che si possa telefonare a comando. Ci vorrebbe una seduta spiritica letteraria, magari con le labbra rifatte. Allora ritelefono al Toninelli. Non so chi sia – dice – so che abita in un paese qui vicino che si chiama Bosco e si può trovare in giro con la luna piena, comunque dicono che si riconosce facilmente, buona fortuna.

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Guardo quando sarà la luna piena. Sono fortunato. La sera stessa vado difilato a Bosco e mi metto a passeggiare per le vie. Se comparisse la Madonna penso che lo capirei quasi subito, ma per uno scrittore non è la stessa cosa. “Scusi, lei è uno scrittore fantasma? Scusi, lei è un ghostwriter? Scusi lei è uno che scrive per Fabio Toninelli, senza chiamarsi Toninelli?” Per lo più ricevo risposte piuttosto offensive, perché molti pensano che ghostwriter sia un sinonimo di pirla, non saprei perché.

A un certo punto vedo un tipo seduto sul ciglio di un fosso, intento a scrivere con un’Olivetti, quelle macchine di ferro che pigi e fanno casino e spesso il dito si incastra fra la erre e la e.

“Scusi, scrive?” chiedo.

“No, pattino” dice. Per scrupolo controllo i suoi piedi. Porta infradito. Senza rotelle. La sua macchina è surriscaldata, fuma, fa una riga al secondo. Le dita, noto, stanno sanguinando. Ha accanto a sé un plico di fogli, saranno una cinquantina.

“Mi manda Toninelli – dico – ho cercato di parlargli, ma al di là della descrizione dell’aspetto fisico non mi ha voluto dire altro. Secondo lei assomiglia a Kabir Bedi?”

“Di Toninelli ce n’è uno” dice il tipo, che tutto sommato è normale, non sembra nemmeno un licantropo.

“Ho bisogno di intervistarlo, ma lui dice che c’è uno che parla per lui. È lei l’oracolo?”

“Mi chiami pure Toninelli, ma facciamo in fretta, che la luna non dura così tanto.”

“Neanche il mio posto al giornale, se salta l’intervista.” Siamo entrambi felici, abbiamo un obiettivo comune. Gli chiedo se conosce persone rifatte. Il nome di French, almeno, è rifatto. Sono rimasto molto colpito dal soprannome di French, quando Toninelli mi ha detto che lo chiamano French. Come essere chiamato Trinità, ma un po’ più novecentesco ed europeo. Un mito comunque, a suo modo.

“Ho cercato il significato: French=tagliare le verdure a bastoncino. Mi approssimo? A Toninelli piace tagliare le verdure?”

Toninelli, che ricordiamo non è il vero Toninelli, smette di scrivere, asporta con un fazzoletto il sangue dalle dita. “Ma lei, da dove arriva?”

“Stavo cercando pescatori palestrati rifatti, ma per una serie di equivoci ho contattato Toninelli e adesso ho fretta di scrivere l’articolo.”

“L’aiuto io – dice il finto Toninelli – ma prima che la luna se ne vada.” Mi viene da pensare che la luna lo aiuti a scrivere con la sua luce, anche se onestamente mi sembrerebbe molto più comoda un’abat-jour. E invece la realtà è molto più drammatica: il fake mi dice che in condizioni diverse non saprebbe buttare giù due righe decenti. Confessa fra i singhiozzi che una volta al liceo per il tema assegnato Una gita fuori porta scrisse: “Sono andato al lago con i miei. Era domenica. Una bella domenica.” Fine. Senza luna piena è completamene incapace.

Il finto Toninelli si ricompone. “Butto giù il materiale, non mi costa niente, sto scrivendo il suo coccodrillo.”

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“Mi sembra presto.”

“Me l’ha chiesto lui. Colleziona coccodrilli, quindi vuole anche il suo. Nel coccodrillo troverà chi era e cosa faceva, così le tornerà utile.” Torna a battere a macchina, una velocità folle, le rane tacciono al suono di una mitragliata di lettere. Il finto Toninelli riprende a piangere. “Oh, come ci mancherà.”

“Ma questo coccodrillo è rifatto? Qualche ritocchino ce lo vuole mettere, giusto per rimanere in tema?”

“Come si fa a rendere bella una cosa bella? La storia di French e della sua associazione è già bella così.”

La luna è bassa, grande, scura come un tuorlo. Incorona la testa dello scrivano, che sembra un qualche santo scrostato dal tempo e strappato da un affresco di Giotto. Certo che avere bisogno della luna piena per scrivere è una grande maledizione.

 

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FINE DELLA PRIMA PARTE