Il postino è uno dei mestieri più belli e pericolosi del mondo.
Più bello che fare l’attore, dove uno finge. Più bello che fare il politico, dove uno finge.
Più pericoloso che lo stuntman o il freeclimber. Il postino ha due ruote che obbediscono non a lui, ma alle leggi della natura. Al bagnato, alla sabbia, al ghiaccio, alle pietre acuminate.
Una volta esistevano vari tipi di postini, il bulimico, l’apatico, il sognatore, il viaggiatore. Si chiamavano portalettere, indossavano una cravatta e giravano con una borsa di cuoio. Erano parte integrante del quartiere, monumenti di carne temuti e riveriti; conoscevano ogni tegola, ogni vite, ogni sospiro di ciascuna persona innamorata, morente, nascosta nell’ombra per paura o pazzia. Le lettere portavano il francobollo con la faccia di Togliatti o le fontane di Roma e un bel timbro nero con una data scolpita a imperitura memoria. Erano lettere desiderate e attese. Erano lettere cariche d’amore o minacciose. I bambini al suono del campanello esultavano, il mondo entrava dentro le loro case, con carta e inchiostro. I filatelici attendevano i portalettere all’ultimo piano dei palazzi. erano vestiti di nero, con i collant della moglie infilati sul volto; aspettavano ore sotto il sole per inquadrare il portalettere nel mirino di un Dragunov rimediato al mercato nero, solo per arricchire di tre francobolli la loro collezione di una vita.
I portalettere ignari respiravano i profumi dei gelsomini in fiore, rimpiangendo vite mai vissute o le loro terre lontane, Sicilia, Calabria, sognando barchette di carta da lettera a solcare le onde.
I portalettere ignari si fermavano a mangiare la porchetta, la polpetta, altri cibi che finivano con etta, perché il mondo girava lento, ventiquattr’ore duravano trentasei e c’era tempo per tutto, anche per le chiacchiere e l’amore.
I portalettere ignari portavano notizie e portare notizie era una missione riservata al dio alato. Nelle lettere erano rinchiusi misteri, segreti, speranze. Nel primo pomeriggio il portalettere depositava le ali del dio ancora immacolate nel proprio armadietto e diceva ai colleghi: “A domani!” Dove domani era un giorno come oggi e come ieri, dove il mondo era fisso e immobile e piatto.
Poi il mondo si è messo a girare più veloce. Il portalettere si è trasformato in postino, che è un nome più breve e leggero, ha lasciato a casa la cravatta, che riduce la velocità. Si è dotato di un fisico bestiale per far fronte allo smog, alla grandine, alla neve, al sole senza il filtro dell’ozono. Il postino viaggia con sette orologi, perché ha la mentalità del pilota, deve finire il giro con il tempo migliore, rosicchiando secondi.
Cielo e terra si confondono alla sua vista, le case verdi sono alberi con finestre, i portoni dei condomini dogane fitte di misteri. La gente arriva e se ne va, lasciando i propri nomi sui campanelli. Dove ieri abitava Giulio Cesare, oggi dimora un triumvirato. I cecchini hanno abbandonato i tetti, perché i francobolli stanno scomparendo, così come le monete. Il postino infila giornali in cassette arrugginite e taglienti, montate al contrario all’interno dei cancelli, coperte di rovi spinosi, strabocchevoli di posta vecchia e di offerte scadute. La gente non ha più voglia di ricevere lettere, né di aprirle, perché non c’è più sorpresa, né attesa. Il postino conosce a memoria i nomi, a uno a uno, ma dietro i nomi non c’è nessuno.
Poi, all’improvviso, qualcuno gioisce per un pacco arrivato prestissimo, oltre ogni speranza, un libro ordinato su Amazon, che spiega come vivere sani fino a 100 anni. Sebbene il pensiero del centounesimo anno metta comunque un po’ di ansia, per un attimo il postino torna dio, con i calzari alati e messaggi di altri dei che lo incitano: “Presto, presto, una pace o una guerra dipendono da te!” Con la speranza di vincere un giorno il nobel, il nostro eroe ritorna alla base, vuoto di missive e di pensieri, senza più chiedersi, fino al giorno dopo, quanto tempo dureranno ancora i messaggeri.
I messaggeri dureranno per sempre, finché ci sarà merce di scambio. Magari non si chiameranno più postini, ma atleti, capaci di coprire lunghissime distanze in brevissimo tempo, portando a destinazione schede elettroniche di astronavi, mele del Trentino, cuori da trapiantare e uno fra mille o diecimila, scritti ancora con la biro, obsoleti messaggi di pace.