Limousine

L’insegna dice che Noè costruisce barche.

Su “&flli” è tirata una riga rossa, perché sono morti in uno scontro fra barche durante una gita. Noè adesso si fa aiutare da un indiano e da un cingalese, che sono un po’ refrattari, ma molto volonterosi. Ha in essere delle commesse per il polo Nord, dove spediscono barche di ghiaccio, dentro enormi frigoriferi; inoltre fa barchette di carta per il centroamerica, e poi barche senza vela, in pratica delle bagnarole, solo che “barche senza vela” suona meglio, costano quasi come barche a vela.

Noè è sempre malinconico, pensa spesso ai suoi figli, però dice dentro di sé che comunque l’azienda non sarebbe andata avanti per molto; uno spendeva i soldi in donne, l’altro in automobili, mentre l’indiano e il cingalese pensano solo a lavorare, fanno tutto quello che gli dici, loro sono convinti che il lavoro nobilita l’uomo, ma soprattutto lo fa sopravvivere. Infatti hanno degli stipendi da fame, ma la fame se non altro è sintomo che sei vivo.

Un bel giorno arriva uno su una limousine, l’autista apre la portiera, ma non si vede nessuno. Passa qualche minuto, poi scende un tipetto piccolo, grasso e spaventato, che non riusciva a trovare l’uscita. Noè dice al cingalese, vai da lui; il cingalese dice al tipetto che le assunzioni per il momento sono chiuse, allora l’ometto lo calpesta, poi e si presenta da Noè e gli dice di allontanarsi un po’. Noè indietreggia. Ancora un po’ dice il tipo, poi estrae un sigaro lunghissimo e se lo fa accendere da Noè perché lui anche se avesse il braccio di Tiramolla non ci arriverebbe.

“Che sigaro strano” commenta Noè. “Non deve essere molto comodo. Come mai così lungo?”

“Perché ho una limousine” dice il tipo. Intanto il cingalese si è rialzato, si scuote di dosso la polvere e torna confuso al suo lavoro, che consiste nel separare le assi lunghe da quelle corte, solo che adesso che ha visto il sigaro non ha più i parametri per capire se un’asse deve considerarla corta a prescindere, oppure se, pur lunga, è comunque corta rispetto a un’asse lunghissima e così rimane lì in piedi a bocca aperta.

“In cosa possiamo servirla?” chiede l’indiano, che non sa bene cosa significhi, ma che vuole mettersi in luce dinnanzi al suo principale, con la segreta speranza che Noè un giorno l’adotterà e gli lascerà l’azienda in eredità.

“Vorrei ordinare una limousine d’acqua.”

Il cingalese e l’indiano si scambiano un’occhiata e alzano le spalle. “Gassata o naturale?” chiede l’indiano.

“Uno yacht, intende?” domanda a sua volta Noè, che non è in grado di costruire uno yacht e se è per quello nemmeno la maggior parte delle imbarcazioni che richiedano più di tre unità di forza lavoro.

“No no, proprio quella limousine” dice l’ometto indicando la sua macchina. “Voglio che la facciate galleggiare. Non mi importa della spesa. ”

Il cingalese, che vorrebbe fare anch’egli bella figura, non per venire adottato, ma per puro spirito di emulazione, si para davanti all’ometto, cioè alla distanza di un metro e mezzo, per evitare di scottarsi il naso. “Lo sappiamo tutti che le macchine non galleggiano.” L’ometto lo calpesta.

“Io sono un artista” dice Noè. “Porti dentro la sua limousine, la renderemo acquatica.”

L’omino, che comincia ad avere problemi ai polmoni per la quantità di fumo che sta inalando, ordina all’autista di portare la macchina nel cantiere di Noè. Quando sta per andarsene, ci ripensa e torna indietro. Il cingalese scompare in tutta fretta.

“Ho un problema” dice il cliente. “Ora sono a piedi.”

“Se vuole le presto una barca di cortesia.”

“Abito in collina.”

“Faccio venire un’altra limousine” dice l’autista.

“Non ho un’altra limousine” gli ricorda l’omino. “Non sapete se qui vicino c’è qualcuno che vende limousines?”

L’indiano a questo punto vorrebbe farsi bello, allora propone di portare a casa il signore col risciò. Il signore lo guarda davvero molto male e gli ricorda di essere stato partorito in una limousine e dunque fino alla morte si sposterà solo su limousines, per onorare la povera mamma, che a onor del vero sta benissimo, anche finanziariamente, ma è il pensiero che conta.

“Io ho un risciò limousine” dice l’indiano e gli mostra un lunghissimo risciò con otto ruote, dentro ci sono divani, piano bar e tutto. Lo fa salire e lo porta in collina.

Noè2

Quando arrivano l’indiano è prossimo al collasso cardiocircolatorio, ma fa finta di nulla. L’omino scende e lo ringrazia.

“L’arte di Noè è di altissimo livello, mi aspetto un lavoro ben fatto, ragazzo. Ci si vede fra un mese.”

In effetti Noè è già al lavoro. Sta girando intorno alla macchina e il cingalese fa altrettanto, ma per spirito di emulazione; un asino o una limousine per lui sono la stessa cosa, mezzi utili al movimento. Noè ordina al cingalese di salire in macchina, perché vuole provare la limousine. Non hanno fatto duecento metri, che all’uscita da una curva cieca si scontrano con il risciò dell’indiano, che stramazza al suolo. Noè e il cingalese scendono a guardare.

“Cos’è che ha sulla faccia?” dice Noè.

“Una mascherina per l’ossigeno.”

Del risciò non rimane che un mucchio di pezzi. Noè li sistema a bordo strada, mentre il cingalese carica l’infortunato in macchina.

Quando rinviene, l’indiano si guarda intorno e crede di essere in paradiso. Rimane a bocca aperta, solo che non si vede, perché ha la mascherina.

“Ti piace?” dice Noè.

No, pensa l’indiano, non sono in paradiso, sono stato adottato, la prima cosa che farò quando tornerò in cantiere sarà quella di prendere un pennello e riscrivere la parola “figli” accanto a Noè.

Lui per diritto quasi naturale, il cingalese per diritto acquisito.

“Un giorno le macchine viaggeranno tutte nell’acqua e nel cielo e non ci saranno più strade” sentenzia Noè. Meno male, pensa l’indiano, che vorrebbe segretamente l’abolizione dei risciò, ma non lo dice a voce alta per non essere estromesso dalla famiglia d’origine, con la quale comunque non ha contatti da trentacinque anni, in pratica da quando aveva un anno di vita.

Arrivano al cantiere. Noè scende soddisfatto e si guarda intorno. Poi allunga il braccio. “Guarda – dice all’indiano – tutto questo un giorno…”

L’indiano si toglie la mascherina. “Sarà mio?”

“No. Tutto questo un giorno non ci sarà più.”

“Proprio come le strade?”

Noè non risponde e si rinchiude nel suo studio a progettare la limousine d’acqua.

“Ho sentito bene? Non ci saranno più le strade? Davvero?” chiede il cingalese all’indiano.

“Così pare” risponde l’indiano, abbacchiato per i dubbi che gli affollano la mente.

“E io come farò a tornare a casa?” dice il cingalese.

Allora l’indiano gli dice di non preoccuparsi, che il giorno in cui non ci saranno più le strade non ci saranno più nemmeno loro, come persone. Il cingalese rimane ancor più proccupato, perché se non ci saranno più le strade, e se non ci sarà più lui, fatti due conti a casa non ci potrà più tornare. Da una scatolina di latta tira fuori i soldi che sta mettendo da parte per tornare a casa, li conta. Ci vorranno due anni di lavoro per comprare un biglietto.

“Fra due anni ci saranno ancora le strade?”

“Penso di sì” dice l’indiano. “Ci saranno anche gli stop, i semafori, cose di questo tipo.”

Partirò al più presto, allora, dice il cingalese. Dovrai andare in aereo, dice l’indiano, alla fine cosa ti serve a fare una strada? Ma il cingalese rimane fermo nella sua idea, perché anche in cielo ci sono strade e nessuno sa quanto potranno durare ancora.

 

 

 

 

 

 

 

Pasquale e la depressione natalizia

Pasquale vorrebbe festeggiare il Natale, ma è piuttosto depresso per ovvi motivi. Non riesce a fare un augurio che tutti lo prendono in giro, allora va da un mago che abita in via Appia antica al numero 8615 e gli chiede di aiutarlo. Il chiromante si sfila i tacchi a spillo dalle orecchie, poco pratici, ma molto efficaci per non sentire il cane del vicino, che si chiama Natalino – il vicino – e che alla fine non c’entra niente con la storia, almeno fino ad ora. Non ride quando Pasquale gli spiega la sua storia, gli chiede solamente cento euro e gli suggerisce di aprire la finestra a mezzanotte e pronunciare “Zum zum spacca”, a voce piuttosto alta, ma senza disturbare i vicini. Pasquale paga ed esegue e il giorno dopo si presenta dal fornaio e gli dice buon Natale.

Il fornaio prima ringrazia, poi si sganascia. “Buon Natale, Pasquale” gli dice con le lacrime agli occhi. Sono anni che si diverte, con la stessa intensità, beato lui. Pasquale, invece, che al Natale tiene abbastanza, compra mezzo chilo di non sa cosa e poi va dal fruttivendolo. Il fruttivendolo è triste, è il suo ultimo giorno di lavoro perché in tre mesi sono cresciuti intorno a lui quattro ipermercati che vendono mele della Patagonia che sembrano angurie. Così quando gli dice “buon Natale, Pasquale” ammette che la cosa è molto divertente, ma che questo divertimento non lo tocca.

Con un filo di speranza Pasquale va dal barbiere, che pettegolo all’inverosimile racconta a tutti i presenti che in negozio è entrato Pasquale, per fare il taglio di Natale. Ovviamente tutti, leggeri per le feste che stanno iniziando e gli spritz del mattino, ridono in coro, ciascuno con i capelli che ha: i capelli lunghi chi se li deve tagliare, i capelli a metà chi sta seduto in poltrona, i capelli belli in ordine e laccati chi sa uscendo dal negozio.

Pasqualino, smarrito, torna dal mago, che di cognome fa Quaresima. “Rivoglio indietro i cento euro”, gli dice. Ma il mago gli dice che non c’entra niente con la storia, almeno per il momento, e che comunque i cento euro comprendono anche la seconda parte del trattamento. Ora bisogna andare da Natalino e qui si capisce che Natalino c’entra qualcosa con la storia.

“Dimmi, Natalino – gli chiede il mago – quando viene Natale, che tipo di augurio fai tu agli altri?”

Natalino ci pensa su un po’ poi dice che la formula la deve dire appena prima che qualcuno gli faccia gli auguri.

Pasquale ringrazia e subito fa una prova, va dal fruttivendolo, ma invece di dire “Zum zum spacca” dice “Zum zum stampa”, allora il fruttivendolo gli dice tanti auguri Ermete. Pasqualino obietta “Guarda che io non mi chiamo Ermete.” Il fruttivendolo si mette a ghignare e dice sei un buontempone. Allora Pasqualino fa un’altra prova, va dal salumiere e dice “Zum zum stampa, dammi un etto di salame e la salumiera gli replica “Come lo vuoi, Arnaldo, con o senza aglio?” Pasquale dice, guarda che non mi chiamo Arnaldo e la salumiera gli dice: “Sei un buontempone!”

Pasquale, dopo aver fatto il giro dei negozi, dopo essere stato chiamato Arnaldo Ermete Giacomo Luigi Luca Giovanni, gli evangelisti e tutti i saggi dell’Antico Testamento, si rende conto di non avere più un’identità, torna dal mago e gli dice: “Con questa formula non mi riconosce più nessuno!” Il mago: “Allora non pronunciare la formula. Fanno cento euro.”

Ora Pasquale tutto sommato è felice anche a Natale e usa la formula solo quando vuole sentirsi un altro, quando vuole evadere, e soprattutto quando ha lasciato il debito dal salumiere.