Ti chiedo scusa, ti ho abbandonato come un cane su un’autostrada, ma a differenza di un cane sei rimasto impassibile. Lo so, sono un verme, vorrei abbandonarmi sull’autostrada, ma fa troppo freddo. Sì, sono un verme freddoloso. Ti ho abbandonato contro tutti i buoni principi, primo fra tutti: coltiva la scrittura, coltivala tutti i giorni. Vorrei dire a mia discolpa che ho fatto questo e quello, ma se parlassi di discolpa significherebbe mettere in discussione la mia condizione di verme, che è innegabile. Racconterò quindi, escludendo vermi e abbandoni, quello che ho fatto, come quando si incontra un amico che non vedi da tempo e che ti chiede cosa fai di bello. Di bello lavoro tantissimo, vado a letto prestissimo, leggo poche righe e mi addormento e il giorno dopo non ricordo nulla di quelle letture. È un lavoro pieno di fatica e poesia che regala un’illusione di libertà e mi chiedo se non sia questa la vita, faticare e illudersi, dimenticando le poche righe lette di sera. È un lavoro precario e in questo senso è proprio vita. Così ho lasciato per tanto tempo le pagine bianche, che come tutti i sogni sono il luogo del possibile, sapendo che un giorno parole scese da una illuminazione temporanea le avrebbero abitate. Eccole. Ora mi sento un verme precario e illuminato, che non è molto. Un verme consolato però dall’idea che se le parole non danno il pane, una vita muta è molto peggio.