Lei non sa chi sono io

Alshiro lavora in un call center, anche se ha sempre sognato di fare la rockstar in una band underground.

Alshiro mangia nel call center e dorme nel call center, sotto la scrivania, perché c’è la crisi degli alloggi.

Alshiro subisce mobbing dal suo capo, ma è giovane e ottimista e sogna di fare mobbing nella sua band underground, un giorno.

La compagnia in cui lavora si chiama AZ, perché vende di tutto, dalla A alla Z.

Alle 9, 03 gli telefona un cliente infuriato, perché il suo divano a due sedute di pelle di capra girgentana non è ancora arrivato e sono passate tre settimane e gli ospiti devono sempre stare in piedi. Il cliente ha un bel dire che lì in quell’angolino ci dovrebbe stare un divano, gli ospiti lo guardano con l’aria di chi non ci crede fino in fondo.

“Ci saranno dei ritardi nei traghetti, mi faccia verificare” dice Alshiro.

“Non faccia il buffone – dice la voce – come si chiama, lei?”

“Alparo” dice Alshiro.

“Bene, Alparo. Lei non sa chi sono io!” Alshiro non risponde, attende che l’uomo si riveli. Trascorrono secondi silenziosi. L’uomo sbuffa, balbetta. Pronuncia sillabe come ma, mi, so pre, di, e tutta la serie delle preposizioni articolate.

Intanto Alshiro ha rintracciato sul terminale la spedizione. Comunica all’uomo che il suo divano si trova in un deposito di Reggio Calabria.

“Reggio Calabria! Qui siamo impazziti, totalmente impazziti. Nel mio studio ci vengono persone importanti e io devo dire che non ho nemmeno un posto per farli sedere. Ieri è arrivato quello scrittore, come si chiama…”

Alparo, il capo, ha detto ad Alshiro che bisogna interagire in modo costruttivo con i clienti. “Volo? De Carlo? È italiano?”

“Quello che ha scritto Un amore.”

“Liala?”

“In ogni caso mi sto rovinando la reputazione. Nel mio campo non è permesso. Lei mi capisce, Alparo? Mi pare di no.”

Alshiro, per stemperare la tensione, gli chiede se il campo di cui si parla è quello dell’editoria. L’uomo torna a sbuffare, a sospirare. Sono tanti i campi, dice, così tanti che non è possibile ricordarli tutti. E comunque campo o non campo il problema è il divano, che indipendentemente dal campo fa sedere le persone. Ho comperato tante cose da voi, dice l’uomo, ma non mi è mai capitata una cosa simile. Cosa stanno facendo, stanno ancora uccidendo la capra?

“Non si deve preoccupare, telefono al deposito, poi la richiamo.”

“Dite sempre così, voi, richiamo, richiamo, e poi non richiamate mai. Sono stufo dei vostri richiamo, io voglio una risposta e subito, sto al telefono fino a quando non ho una risposta. Forza, dunque. Attivi il suo collega di fianco, gli faccia telefonare al deposito. Io sto in attesa e non mi nuovo di qui.”

Alshiro tenta di recuperare la pratica, ma il terminale si è bloccato. Succede sempre così con i clienti arroganti. Chiede nuovamente il nome, scusandosi per l’inconveniente e incolpando un server in Olanda, anche se sa che è perfettamente inutile.

L’uomo sbuffa, impreca piano, emette sillabe a casaccio. “Mi sente? Mi sente bene?”

“Perfettamente.”

“Allora apra bene le orecchie. Io non so chi sono io.”

Solo allora la pagina del terminale si aggiorna. “È partito. Il divano è appena ripartito. Non è una buona notizia?”