Macedonia di neve

Bianzone è un paesino famoso per il fatto che quasi nessuno sa dove sia o ci è passato, nemmeno sbagliando strada. Nonostante la desinenza accrescitiva, Bianzone è piccolino, anche se gli abitanti possono comodamente raggiungere il metro e novanta e oltre, senza considerare l’altitudine dell’abitato. Comunque Bianzone è in Lombardia e questo dovrebbe aiutare anche i più disorientati o quelli che a scuola in geografia non andavano molto bene. A Bianzone, se non stai attento, ti ritrovi in Svizzera come niente.

A Bianzone, tanto, tanto tempo fa, nacque Nino Bibbia. Per esempio il figlio di un principe è già qualcuno anche se si è appena liberato della placenta, invece Nino Bibbia una volta nato non era nessuno. Mentre lui cresceva, il paesino rimaneva piccolo, allora Nino scivolò a St. Moritz (ci vuole un attimo a finire in Svizzera…), che come nome era una figata. Così, quando in Italia (per i più disorientati, sotto la Svizzera) lo cercarono per portarlo al fronte, scoprirono che il suo letto a Bianzone era vuoto e dopo averlo cercato per un po’, sotto il letto, sotto il tavolo della cucina, nel sottoscala e nel sottotetto, convennero che era bravissimo a giocare a nascondino.

Anche A St. Moritz Nino non era nessuno, se per nessuno si intende un vip. Nino lucidava le mele del padre, perché il padre faceva il fruttivendolo e diceva: Nino, lucida le mele, Nino lava il pavimento, Nino attizza il fuoco (perché a St. Moritz può fare sia molto freddo che molto caldo) e lui era sempre ginocchioni a fregare e guardava fuori se per caso ci fossero fate e zucche e principi o principesse, insomma qualcuno blasonato, e invece niente. I giorni correvano via e Nino doveva lucidare la frutta, ma fondamentalmente era uno sportivo, gli piaceva la bicicletta e aveva anche pensato di pedalare sulla neve, ma Cresta Run era piena di sensi unici, soprattutto verso il basso, mentre a lui piaceva il velodromo.

La svolta avvenne quando il padre gli disse di portare la frutta da macedonia alla signora Fraubrunnen, che abitava proprio alla fine della Cresta. Nino stava camminando con la sua cassetta quando, com’è come non è, mise un piede in fallo e infilò la pista, aggrappato alla merce. Arrivò primo, secondo una mela granny smith seguita da arancia di Sicilia. Nino scoprì che era molto più divertente salire sopra le cassette che portarle a braccio. Così, quando un giorno un tipo gli propose un equo scambio slitta-bottiglie di vino, Nino scelse la sobrietà alcolica per dedicarsi all’ubriacatura da adrenalina. Doveva essere ben temerario per piombare a valle a pancia in giù e faccia davanti, però aveva capito che come chi vola domina il mondo dall’alto, vedendo cose che sfuggono a chi cammina, chi scivola sulla neve fa l’amore con madre terra, sperimentando cose ignote a chi cammina.

Poi la fatina arrivò davvero, sotto le vesti di un tale di nome Bonacossa, un conte che come tutti i nobili era uno sportivo e che gli chiese se gli piacesse spaccarsi la faccia contro il ghiaccio. Bibbia fece presente che aveva superato in velocità una mela e un’arancia, notoriamente sferiche, e che stava seriamente considerando di portare la frutta alla signora Fraubrunnen con la slitta, e che quindi sì, si sarebbe iscritto alla gara di skeleton. Era il 1948, era finita la guerra, si voleva correre via, correre lontano, correre veloci verso il futuro.

Nino disse al padre che avrebbe gareggiato per le olimpiadi invernali. Il padre gli disse di ricordarsi della macedonia della signora Fraubrunnen, che era sicuramente più importante, perché almeno una macedonia si capiva cos’era, mentre uno skeleton potevi chiederlo a chiunque e tutti avrebbero allargato le braccia.

boh

La signora Fraubrunnen era di diverso avviso: la gara di skeleton era più importante della macedonia, perché mentre una macedonia si mangia e non c’è più, una vittoria è per sempre. Il padre di Nino rifletté per molto tempo su questa cosa e guardò la sua frutta. Il suo carretto era per sempre, ma una corsa sulla neve? Roba da inglesi annoiati e scapestrati. Però, se la signora Fraubrunnen diceva così, probabilmente aveva ragione lei. Il padre sospirò di amore e di malinconia e raccomandò al figlio di tornare per cena.

Nino si presentò alla partenza indossando lupetto e gomitiere dalle cinghie consumate. Gli spettatori si davano di gomito, sorridendo. Cose dell’altro mondo, St. Moritz era la patria degli sport invernali, non dei fruttivendoli. A dire il vero Nino non era un professionista, mentre c’era l’americano: a chi glie lo ricordava rispondeva con un sorriso sghembo. L’americano era John Heaton, uno tosto, che aveva già beccato un argento nella disciplina esattamente vent’anni prima. Appunto, l’argento, pensò Nino. Per l’oro c’è ancora posto.

Nino si coricò a pancia in giù sullo skeleton, uno scheletro di slitta appunto, un telaietto di acciaio e una lieve imbottitura per appoggiare il torace. Era pronto a far l’amore con la terra e con la neve. Si coricò e aspettò il suono della campanella. Giù! La sua faccia si illuminò di felicità e il suo corpo piombò verso gli abeti, cullato dalle paraboliche. Sfidava le botte e il ghiaccio con la felicità di un bambino. E poi giù ancora, contro il tempo, contro l’americano, contro le mele. Giù, a St. Moritz, dove dopo il traguardo la gloria ti aspetta.

John Heaton si becca un’altra medaglia, ma è un altro argento. L’oro è per Nino. Nelle olimpiadi invernali, primo oro e prima medaglia italiana.

Nino Bibbia

Da allora lo skeleton fu tolto dalle discipline invernali per più di cinquant’anni. Era una congiura? Bibbia non si scompose, continuò a gareggiare e a portare macedonie alla signora Fraubrunnen, percorrendo la pista con la pancia, carico di frutta assortita. Frutta che a valle somigliava ormai a una macedonia, condita di ghiaccio e di neve.