Il cacciatore di teglie

Io parlo poco, amico. Sto cercando uno che parla molto e tu sei quello giusto.

Per molti versi mi dai fastidio, ma a me occorre uno così. Come te.

A me non importa come ti chiami. Ti dico il mio, di nome. Il mio nome è Quaresima. Questo te lo dico perché il mio nome arriva sempre tre giorni prima di me. Lo trovo un gesto di lealtà, persino troppo generoso. Uno sa che arrivo e si regola.

Chi ha dei conti in sospeso con me di solito non mostra nemmeno la punta del naso. Tu hai dei conti in sospeso? Dipende. Se mi aiuti a scrivere vedrò di farti un trattamento di favore, che consiste nel lasciarti in pace, almeno per un po’ di tempo. È un’offerta che non puoi rifiutare.

In quanto alla scrittura, non è che sia stupido. Mi credi stupido? È che a dieci anni ho spaccato il naso alla cuoca della mensa, con una teglia della pizza ancora rovente e così mi hanno sospeso per una settimana. Ho quarantadue anni e devo ancora ritornarci, a scuola. Ma penso che ormai sia la cuoca che la mia maestra siano passate a miglior vita, che Dio le abbia in gloria.

Il fatto è che il suono di quella teglia sulla cartilagine mi diede un’illuminazione. Mi fece capire che al mondo ci sono teglie e teglie. Mio padre allevava maiali e mi prese da parte, dopo il fatto. Mi disse: senti, ragazzino, qui i casi sono due. O torni a scuola o mi aiuti con le bestie. Nessuno dei due, dissi. E se chiudo gli occhi sento ancora il rumore della sua mano, il sapore che aveva il buco là dove appena prima c’era un molare. Eppure glie lo dissi di nuovo. Nessuno dei due. E questa volta fui lesto a scansarmi. Voglio commerciare in teglie e padelle, gli dissi.

 

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Il tempo mi ha dato ragione. Di un maiale puoi fare a meno, della scuola anche. Ma quando devi cuocere un sugo, i fagioli, le patate, se non hai una buona teglia, una buona padella, addio mondo, addio vita. Ricordati che le cose che disprezziamo sono quelle più utili. Te lo dice Quaresima, che di digiuni ne ha fatti tanti, prima di scovare le padelle a doppio fondo o antiaderenti o capaci di cuocere senza grassi e con un incredibile risparmio di gas metano e di elettricità.

Quando scoprii questi territori di conquista sentii che dovevo fare qualcosa per gli altri, per tutti quelli che si erano fermati ai maiali o al piccolo Lord.

Devi sapere che uno come me riconosce subito quando un tizio nasconde in casa del pentolame cattivo. Compera da mangiare e poi torna a casa rasente il muro, guardandosi intorno con un’aria impaurita. Suda un po’, anche con la neve, ma spesso il sole non basta a togliergli l’aspetto cadaverico. Alla fine ci arrivo sempre, alla sua porta. I tipi che mi aprono sono di due specie: sbruffoni e timorati di Dio. I primi non vogliono saperne, i secondi sanno che vengo prima di Dio, perché lui non ha bisogno di padelle, ma loro sì.

Sento un odore, dico. Quando dici questa cosa dell’odore, loro, anche gli sbruffoni, rimangono spiazzati. Fiuto l’aria. Non sono le rose, dico. Dalla tua casa esce un odore di carogna. Cos’hai sul fuoco? Solo i timorati mi rispondono, ma io indovino materiale e dimensione del tegame. Anche la marca, se lo scotch non è ancora arrivato alla testa e ti garantisco che ce ne mette di tempo, interi giorni. Se voglio sbronzarmi a fine settimana comincio a bere a inizio settimana. E a fine settimana non lavoro, questo per dirti che Quaresima non sbaglia mai, che beva o no.

Gli indovino lo spessore del fondo, di solito compensano con parecchio olio. Hai una brutta faccia, amico, dico. I timorati di Dio si arrendono e mi fanno entrare. Il gioco è fatto.

Con gli sbruffoni mi comporto diversamente. Li guardo negli occhi e non ho mai visto nessuno che non abbassi i suoi per primo. Dai un’occhiata al colesterolo, dico. Qui la caccia diventa una seccatura, devo aspettare qualche giorno, magari mi scelgo un alberghetto a buon prezzo, magari mi diverto un po’ con qualche bocconcino, perché il tempo bisogna pur passarlo in qualche modo, e non lo riempio certo leggendo il piccolo Lord. Questi sbruffoni ostinati li lascio nel loro brodo a tormentarsi e quando sono cotti a puntino torno a casa loro. Non c’è più bisogno di ricordare chi sono io. Perché sono diventati agnelli timorati di Dio.

D’inverno per lo più mi riposo, non amo le bufere di neve. Mi riposo e studio le teglie di ultima generazione, che quasi nessuno al mondo ha ancora visto. Teglie e padelle che sono lontane anche da uno provvisto di molta fantasia, come puoi essere tu. Poi con il disgelo il cacciatore di teglie si muove, perché il mondo è pieno di brave persone con tegami cattivi e i cattivi che trovo sulla mia strada sanno che non rivedranno un altro inverno.

 

Sì, ma cosa vuoi che ti scriva?

Informazioni su Roberto Stradiotti

studi classici, bonsaista della domenica
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