L’intersvista: Guido Casamichiela

Sono stato contattato dal Morning Evening per intervistare Fester Stratocastor, che stava studiando i comportamenti deviati dei castori dell’Ontario. Disgraziatamente Stratocastor è rinchiuso in un manicomio criminale, così ho cercato di contattare un collaboratore, Guido Casamichela, con 1 i nel cognome. Per una svista ho contattato Guido Casamichiela con 2 i nel cognome e poiché devo consegnare il pezzo molto a breve, mi butto sull’ultimo. Questo preambolo forse non interesserà il lettore, ma chissà, queste tre righe potrebbero essere più illuminanti dell’intera intersvista e io da buon cronista documento.

Guido Casamichiela, è vero che il tuo cognome contiene 2 i?

Vero come è vero che non sono la dottoressa Michela Casa, non sono il ragionier Casamichietti, non sono nemmeno l’avvocato Casami e neppure, anche se ci vado vicino, Guido Casamichela.

Guido, conosci per caso il comportamento deviato dei castori? Non necessariamente dell’Ontario?

Conosco meglio il comportamento deviante dei castori. ma è pur vero che un castoro che devia di solito devia un altro castoro, quindi il castoro, che sia dell’Ontario o di Budrio è uguale, è sia deviato che deviante.

Mi dicono che sei uno scrittore. Scrivi per caso di castori? Non in modo scientifico, ma con la fantasia?

Ho appena scritto di castori. Non sarà mica il classico intervistatore che legge le domande ma non ascolta le risposte? Guardi che la faccio deviare da un castoro, sa?

Il virus ti ha dato modo di partecipare a un concorso di racconti. Lo vuoi ringraziare, il virus, o comunque lo rinneghi?

Io il virus non lo ringrazio perché ho paura che poi si inorgoglisca e si monti la testa, che già un po’ di delirio di onnipotenza mi sembra che ce l’abbia. ma guai a farglielo sapere.

Perché quando partecipi ai concorsi vinci sempre?

Perché faccio paura alla giuria, quasi come un virus.

Forse sono io e non lo so

 

Se un virus si impadronisce di uno scrittore, cosa succede?

Dipende, se è uno scrittore latinista scriverà per sempre una sola frase, e cioè: tre neutri in us, virus pelagus e vulgus; se invece non è uno scrittore latinista probabilmente scriverà solo racconti dettagliati sull’evoluzione epidemiologica del virus, cosa che dimostra una volta di più che il virus è egocentrico, orgoglioso, suscettibile e si sente onnipotente: praticamente la descrizione di qualsiasi scrittore.

Se tu fossi un orsetto lavatore, come descriveresti il racconto “Forse sono io e non lo so”?

Lo definirei pulito.

Puoi riassumere in tre righe il tuo racconto?

Non credo, sono troppe.

In altre tre righe la tua produzione artistica?

Ho scritto

alcune cose belle

alcune cose no.

Hai partecipato alle olimpiadi, qualche volta? Questa è una domanda che faccio sempre a tutti.

Non ancora, avrei dovuto partecipare a quelle di quest’anno ma lo spostamento al 2021 ha messo in discussione tutto: pare che lo slittamento abbia provocato l’annullamento di tutte le gare tranne quella di slittino, e io dovevo gareggiare nel lancio dell’invettiva (o forse dell’infettiva, non ricordo).

Qui sotto una foto della celeberrima presentazione, durata di 24 ore, del libro “Idioziadi 2016,73”. Non diciamo chi sei dei tre, lasciamo ai lettori l’indagine, attraverso una fisiognomica al contrario: indovinando il volto attraverso il carattere che emerge dall’intersvista. Tu, chi diresti di essere dei tre?  

guido

Io vorrei essere quello che assomiglia a Dave Grohl, ma sono quasi sicuro di non essere lui.

Perché il castoro ha un nome da dio? Te lo chiedo perché devi considerare che questa intersvista doveva comunque essere scritta in origine per una cerchia di studiosi e scienziati, che adesso staranno cercando di individuare in te un’abilità innata nella costruzione delle dighe o nei dolorosi trucchi per seminare gli inseguitori.

Il castoro ha sì un nome da dio, ma è un dio oscuro, un paradosso, un ossimoro, un negazionista possibilista, un temporeggiatore frettoloso. Mi rendo conto che non ho risposto alla sua domanda, allora mi spiegherò meglio: la diga piace sempre.

Come sei vestito quando scrivi?

Di solito quando scrivo cerco di essere irresistibile, e il mio concetto di irresistibilità non può prescindere dal triacetato.

Quando scrivi ti distrai spesso? Cerchi ispirazione guardando fuori dalla finestra o cose di questo genere?

Sì, mi distraggo spesso. Sembro uno di quegli studenti che non hanno voglia di fare i compiti e pur di trovare un pretesto si mettono a osservare la gomma da tutte le angolazioni senza smettere di stupirsi della perfezione delle sfaccettature. Però scrivo al computer, quindi è difficile che usi la gomma (a meno che non sia davvero molto molto distratto).

Il tuo luogo preferito per scrivere?

Il mio luogo preferito per scrivere è il mio cervello.

Vorremmo ringraziarti per la tua disponibilità. Non so se lo faremo davvero, però il pensiero è quello che conta. E a tal proposito vorrei che ci lasciassimo proprio con la seguente riflessione: il pensiero conta davvero? E se sì, fino a che punto conta? Cioè è meglio un’azione senza pensiero, un pensiero senza azione, entrambi o nessuno dei due, vale a dire – quest’ultimo caso – la condizione del saggio?

Il pensiero conta, e di solito conta all’infinito. Questo è il motivo per cui non ho mai smesso di pensare. E forse non ho cominciato ad agire.

Guido Casamichiela

BIBLIOGRAFIA

Ogni eroe porta due baffi, Giraldi editore, 2005

Disturbo pre-traumatico da stress, Il mio libro, 2010

Sformato di fango, Tapirumé, 2012

Idioziadi 2016,73, Tapirumé, 2016

Cucchiai (con Anna Stella Poli), Le piccole pagine, 2019

 

 

 

Fagli un sorriso

Pedro prima di urlare si toglie la mascherina.

“Stop. Fermi tutti, basta così, vi prego. E quando dico vi prego vuole proprio dire con le mani giunte. Cosa ti succede, Antonio?”

Antonio si guarda intorno. Tutta la troupe al completo è presente, c’è perfino il trovarobe, che ha intenzione di chiedergli l’autografo per la figlia. “Sono le otto, Pedro, ho la schiena a pezzi. Voglio tornare a casa a innaffiare le peonie. Mi mancano moltissimo. L’abbiamo rifatto cento volte e non ti basta, io davvero non so come aiutarti.”

Anche Pedro si guarda intorno. Allarga le braccia, sbuffa, ride nervoso. “Lo sentite. Antonio è sempre Antonio, è vero che siamo stanchi, che fuori ci sono trenta gradi.” Va da Antonio, gli accarezza i capelli. “Sentimi bene, ti dicono che ti è morta la moglie mentre usciva dal salumiere, una macchina l’ha centrata in pieno e due etti di salame ungherese sono volati per aria e sono introvabili, va bene? Non solo, hai appena perso il lavoro, un lavoro ben pagato e non hai fatto nemmeno in tempo a dirlo a tua moglie e questo ti scoccia molto. Ma il tuo viso tutto questo non lo dice, Antonio.”

Antonio si slaccia la camicia. Parte qualche flash non autorizzato. “Lo credo bene, Pedro. Che espressione posso fare, con la mascherina sulla faccia? Strizzo gli occhi, sgrano gli occhi, chiudo gli occhi. Occhi, solo occhi. Abbiamo il virus in giro? Sì. Dobbiamo tenere la mascherina sul set? Sì. Cosa ti aspetti, Pedro? Hai un suggerimento? Se sì dimmelo, per il bene mio e delle mie peonie.”

Pedro chiama Pamela a gran voce. “Fagli una smorfia sulla mascherina. Prendi un pennarello nero e fagli una smorfia di dolore. Dài, si gira, un’ultima volta poi ce ne andiamo tutti a casa. Fagli una bella smorfia, con gli angoli all’ingiù. Motore… Azione!”

mascherina triste

“Fermi tutti. Tutti… Vi imploro, sono un uomo disperato. Siamo all’ultima inquadratura. Un primo piano. Lui è sul water, medita sulla sua vita, che è stata benevola. Insomma, il lavoro non l’ha ancora trovato, ma quella investita non era sua moglie, era la moglie del suo datore di lavoro, mi spiego? Cioè, l’uomo che l’ha licenziato! Come non esserne sollevati? E anche un pochino contenti, anche se non si può dire? Non siete tutti d’accordo? Fate sì con la testa, siete d’accordo con me, vero? E tu, Antonio? Non sei d’accordo? E allora non fare quella faccia da mascherina, andiamo, stasera affoghiamo nell’alcol, ma prima, Pamela, fagli un sorriso col pennarello rosso, dài. Non è un uomo felice, ora? Anche a loro, a tutti loro, a questo mortorio, passa da questi qui davanti, pitturali, voglio bocche che ridono, stiamo finendo, stiamo finendo bene.”

mascherina allegra

“Pronto, sono Pedro.”

“Pedro chi?”

“Il tuo regista. Ti ricordi di me? Ti ho portato a casa con lo chef, sul carro funebre del set. Erano le tre.”

“Sono morto?”

“Non ancora. Ti ringrazierò davvero solo alla fine della promozione, fino ad ora ti sei solo divertito.”

“Senti, Pedro, a proposito di promozione ho pensato una cosa. Ho pensato al titolo.”

“Non ti piace Chi ha visto la mia felicità?

“Te la butto lì. Sono sincero, è un po’ che ci penso.”

“Intendi da prima della sbornia?”

“Che ne dici di Salame ungherese? Non è il nocciolo della questione, alla fine? Cioè, se il salumiere è l’amante di lei e dopo l’incidente mortale tenta il suicidio con l’affettatrice e viene salvato dai lacci della mascherina che si impigliano nel motore, e allora rinsavisce e ripensa alla sua vita, agli sbagli che ha fatto…”

“Antonio…”

“Pedro?”

“Se facciamo la promozione con questo titolo, con l’idea del salumiere e della sua crisi, prova pensare a te, al tuo ruolo di protagonista. Vuoi che mi porti in giro il salumiere a promuovere il film? Pensaci, Antonio. Lui non ha il tuo fascino, ma non ha nemmeno bisogno che gli pitturino la mascherina con il pennarello. Mi sono spiegato, Antonio?”