Cicche, lamette e anacardi

Un tipo distinto, con i pantaloni a tubo, le scarpe in vera pelle di alligatore mesopotamico, la giacca stretta laggiù dove c’è la vita, una vita senza un filo di grasso. Ha l’aria stanca. si avvicina a me e fa passare una ad una tutte le varie marche di cicche. Mi sta infilando la testa sotto il braccio.

Gli indico l’avviso che impone la distanza di almeno un metro fra le persone. Lui si raddrizza, alza una mano in segno di scusa, guarda il suo cestello come se fosse un cagnolino. Gli parla, anche. Adesso andiamo, gli dice.

Io guardo il mio cestello e gli sussurro che adesso tocca a noi, perché mi vergogno, quel tipo è un uomo di mondo, si vede che adesso parlare ai cestelli è una specie di bon ton per far capire agli altri che non si sta zitti perché si è musoni, ma solo perché non si ha compagnia.

Uh gli anacardi, gli anacardi, si esalta ad un tratto il distinto e di nuovo invade il mio spazio vitale e sano e disinfettato. È l’incarnazione di una felicità infantile. Depone la busta nel cestello e di nuovo diventa assente e pensieroso, si guarda intorno evitando il mio sguardo perché sa di avere sgarrato.

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Adesso sta guardando le lamette da barba che sono proprio di fianco a me; gli articoli che stanno alla cassa sono fatti apposta per invogliare la gente a cedere alla tentazione dell’acquisto, mentre aspetta il suo turno. Tutti hanno nelle borse della spesa cicche, lamette e anacardi.

Mi volto a guardarlo, si sta grattando la barba con le dita. Si esamina sotto il mento, scuote la testa. Fa rumore con le unghie sulla pelle, scrack, scrack. Poi la mano abbandona il mento e decolla verso di me, destinazione rasoi a quattro lame, tempo previsto del viaggio quello necessario a entrare nella mia area personale, sacra e inviolabile.

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Dico di no. Il distinto si volta indietro, come se il no fosse indirizzato agli articoli per la casa alle sue spalle. Mi dice che anche lui usa le padelle con fondo in pietra. La sua mano si prepara per l’atterraggio, con una virata a sinistra.

Gli ricordo che ci vuole il metro di distanza. La mano rinuncia e inverte la rotta. Le dita sussultano per il vuoto d’aria improvviso. Il distinto si agita, allenta il nodo della cravatta, sta cominciando a sudare. La mascherina si espande e si ritira come un mantice, è come se dentro la sua bocca surriscaldata una ventola girasse all’impazzata per dissipare calore.

La prego, mi dice infine, ho bisogno di urtarla, con la mano, con il cestello, faccia lei, non resisto più. Fingo di non aver capito e fisso gli anacardi. Poi li butto fra la mia spesa in malo modo.

La prego, mi ripete il non più distinto, se mi permette di scontrarmi con lei due o tre volte, le pago la spesa. Non mi lasci solo, non mi lasci così lontano. Mi mancano tanto i tamponamenti alla cassa, quando urtavo quello davanti a me e ogni volta inventavo una scusa nuova e invece adesso che scuse ho?

 

Informazioni su Roberto Stradiotti

studi classici, bonsaista della domenica
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