Coccovìd

Sant’Eusebio al Porto Secco

L’emergenza virus che occupa le nostre case e la nostra vita non accenna a diminuire. Sant’Eusebio, un paesino di sedici abitanti, che sopravvive grazie alla pastorizia e all’allevamento, viene messo a dura prova, se mai ce ne fosse bisogno, proprio a causa del virus che da due mesi imperversa sullo Stivale. Un contadino che risiede qui da oltre settant’anni, Gustavo Amendola, testimonia il passaggio del flagello.

INTERVISTATORE: Ci racconti come siete venuti a conoscenza della presenza del virus nella vostra casa.

GUSTAVO: Nella casa per ora no, per fortuna, ma nel pollaio sì eccome. Si è accorta mia moglie; mia moglie si accorge sempre per prima delle cose, da quando si è amputata il dito ha come un sesto senso. Era il pollice che usava per fare l’autostop quando le ho dato un passaggio e penso sempre chissà se non aveva il pollice, che magari faceva l’autostop con un altro dito, chissà se mi sarei fermato, ma con il pollice l’ho conosciuta e sposata. Pollice galeotto!

INTERVISTATORE:  Quindi sua moglie grazie al sesto senso ha compreso una cosa terribile, no?

GUSTAVO: E pensare che il pollice non hanno potuto riattaccarlo, era andato perso! L’abbiamo cercato dappertutto, sotto il divano, dentro il letto, non si sa mai, qualcuno l’aveva appoggiato sbadatamente da qualche parte… E invece indovini, dove l’abbiamo trovato! Non indovinerà mai. Nostra figlia Rosie Lassie era lì nella culla a succhiarsi il pollice della mamma! Una tenerezza! Il pollice l’ho ancora, lo tengo sotto vetro, un po’ per ricordo, un po’ perché magari fra qualche anno scoprono come attaccare i pollici vecchi. Se vuole glie lo faccio vedere.

INTERVISTATORE: E sua moglie, con il sesto senso, quando è entrata nel pollaio, che cosa ha visto, o meglio sentito?

GUSTAVO: Cos’ha sentito? Che certe galline facevano coccovìd. Allora mi ha strillato Gustaaaaaa, Gustaaaa! Io mi sono spaventato, credevo che aveva perso un altro pollice, era terribile, pensavo già a un settimo senso, ma cosa me ne facevo?

INTERVISTATORE: E allora come ha reagito?

GUSTAVO: Sono andato a letto, perché ero stanco. La mattina dopo ecco sulla tavola un uovo. Io al mattino non sono al cento per cento, così l’ho guardato e poi ho continuato a fare i fatti miei, mettere su il caffè,  scaldare il risotto con lo stinco. Invece mia moglie mi dice di guardare bene. Le conosco bene le uova, dico. Ma lei mi dice di fissarlo per un po’. Ed ecco che a un certo punto l’uovo tossisce! Mi ha pigliato un colpo, perché non riuscivo proprio a immaginare un occhio di bue con la tosse.

INTERVISTATORE: E quindi in quel drammatico momento cosa ha pensato di fare?

GUSTAVO: Abbiamo le galline malate, mi fa mia moglie. Infatti quando le galline covano fanno coccovìd e io non ci ho mai fatto caso. Allora l’ho detto ai miei amici e anche le loro galline hanno questo problema, quindi abbiamo tutti le uova con la tosse e non possiamo portarle al mercato.

INTERVISTATORE: … (non gli vengono domande)

GUSTAVO: Adesso abbiamo pensato di far fare a nostre spese il tampone alle galline. Stiamo cercando anche mascherine per volatili.

INTERVISTATORE: Un momento difficile, dunque, per tutto il paese.

GUSTAVO: Paese? Mondo, un mondo difficile… Da quando è caduto il muro di Berlino il mondo non è più stato lo stesso. Ormai corre più forte di me, io in vita mia non ho mai avuto problemi con le mie galline. Ma è sicuro che non vuole vedere il dito di mia moglie?

 

 

Cicche, lamette e anacardi

Un tipo distinto, con i pantaloni a tubo, le scarpe in vera pelle di alligatore mesopotamico, la giacca stretta laggiù dove c’è la vita, una vita senza un filo di grasso. Ha l’aria stanca. si avvicina a me e fa passare una ad una tutte le varie marche di cicche. Mi sta infilando la testa sotto il braccio.

Gli indico l’avviso che impone la distanza di almeno un metro fra le persone. Lui si raddrizza, alza una mano in segno di scusa, guarda il suo cestello come se fosse un cagnolino. Gli parla, anche. Adesso andiamo, gli dice.

Io guardo il mio cestello e gli sussurro che adesso tocca a noi, perché mi vergogno, quel tipo è un uomo di mondo, si vede che adesso parlare ai cestelli è una specie di bon ton per far capire agli altri che non si sta zitti perché si è musoni, ma solo perché non si ha compagnia.

Uh gli anacardi, gli anacardi, si esalta ad un tratto il distinto e di nuovo invade il mio spazio vitale e sano e disinfettato. È l’incarnazione di una felicità infantile. Depone la busta nel cestello e di nuovo diventa assente e pensieroso, si guarda intorno evitando il mio sguardo perché sa di avere sgarrato.

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Adesso sta guardando le lamette da barba che sono proprio di fianco a me; gli articoli che stanno alla cassa sono fatti apposta per invogliare la gente a cedere alla tentazione dell’acquisto, mentre aspetta il suo turno. Tutti hanno nelle borse della spesa cicche, lamette e anacardi.

Mi volto a guardarlo, si sta grattando la barba con le dita. Si esamina sotto il mento, scuote la testa. Fa rumore con le unghie sulla pelle, scrack, scrack. Poi la mano abbandona il mento e decolla verso di me, destinazione rasoi a quattro lame, tempo previsto del viaggio quello necessario a entrare nella mia area personale, sacra e inviolabile.

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Dico di no. Il distinto si volta indietro, come se il no fosse indirizzato agli articoli per la casa alle sue spalle. Mi dice che anche lui usa le padelle con fondo in pietra. La sua mano si prepara per l’atterraggio, con una virata a sinistra.

Gli ricordo che ci vuole il metro di distanza. La mano rinuncia e inverte la rotta. Le dita sussultano per il vuoto d’aria improvviso. Il distinto si agita, allenta il nodo della cravatta, sta cominciando a sudare. La mascherina si espande e si ritira come un mantice, è come se dentro la sua bocca surriscaldata una ventola girasse all’impazzata per dissipare calore.

La prego, mi dice infine, ho bisogno di urtarla, con la mano, con il cestello, faccia lei, non resisto più. Fingo di non aver capito e fisso gli anacardi. Poi li butto fra la mia spesa in malo modo.

La prego, mi ripete il non più distinto, se mi permette di scontrarmi con lei due o tre volte, le pago la spesa. Non mi lasci solo, non mi lasci così lontano. Mi mancano tanto i tamponamenti alla cassa, quando urtavo quello davanti a me e ogni volta inventavo una scusa nuova e invece adesso che scuse ho?